Gramegna 2

Posted On 2 novembre 2012 By In Grazie a, Libri And 6169 Views

Una bella lettera del Dott. Giuseppe Gramegna sull’Africa

“Ci fa piacere pubblicare questo scritto del Dottor Giuseppe Gramegna, amico dell’Africa e del Camerun, cardiochirurgo volontario che tante volte è partito per andare ad operare al Cardiac Center di Shisong con…lo spirito giusto. Il Dottor Gramegna, Peppe per gli amici, conosce perfettamente le nostre attività e tutte le strutture sportive da noi aperte, i luoghi e la gente del posto, per cui ci sembrava interessante farvi conoscere la sua idea di Africa”

 

Dott. Gramegna

Il Dott. Alessandro Giamberti (membro del gruppo direttivo di Orizzonti Sportivi), il Dott. Charles Mvondo ed il Dott. Giuseppe Gramegna

La sua lettera: LAGGIU’, LONTANO, VICINO A SHISONG Shisong è lontana ma solo prima di conoscerla, prima di essere arrivati per la prima volta lì. Da quel momento in poi è solo distante. E non è un gioco di parole! Circa vent’anni fa, giovane chirurgo, rientrato in Italia da una missione umanitaria in Africa, suggerii ai miei figli di sostituire “ho fame” con “ho appetito”; l’Africa ha fame, l’Europa ha appetito: parlare bene aiuta a pensare bene. Questa stessa legge vale anche per “distanza”, dimensione del corpo, rispetto a “lontananza”, dimensione dell’anima. Infatti chi non ha mai sperimentato la vicinanza di qualcosa o qualcuno – pur sapendo essere dall’altra parte del mondo – tuttavia presente nel desiderio? E chi – viceversa – non ha sperimentato la lontananza da qualcosa o qualcuno che magari si trova solo nella stanza a fianco? E’ questa la doverosa premessa alla mia esperienza camerunense. Partire non è un po’ morire. Lontano nel tempo ed ormai anche nell’immaginario, tanto dai trionfalismi coloniali quanto dall’epopea Africana di Hemingway, assapori la distanza che ti separa da Shisong masticando lentamente i metri ed i minuti che diventano ore, giorni e migliaia di chilometri. E’ l’aria Africana, un abbraccio umido di polvere rossa, che ti urla nelle orecchie e ti fa capire il senso della tua presenza lì. Ed il senso è questo: sei qui per spogliarti della tua visione del mondo, sei qui per sporcarti le mani, sei qui per condividere la tua esperienza con chi ne ha meno di te e paradossalmente uscirne arricchito, non sei qui per te stesso, non sei qui per giudicare, non sei qui per criticare. O lo capisci subito, o hai perso. Ti basta poco per innamorarti: finire un intervento, la luna africana, una stretta di mano per un “grazie” che vale una vita, un piatto di jama-jama, un sorriso e il “mal d’Africa” è servito. Tornare è un po’ morire! A Shisong si lavora e le chiacchiere restano a casa. E si che se ne sentono di chiacchiere, pure troppe! Ce n’è di spontanee, nate da un genuino spirito critico e di francamente disoneste, discendenti da una cattiva volontà. Tutte sottendono il tentativo di mascherare piuttosto goffamente l’imbarazzo o l’invidia di fronte al successo di un progetto riuscito senza i mezzi faraonici di altre organizzazioni. Ammetterlo sarebbe signorile ma “signori si nasce”. Da chi reputa poco pratico costruire una “cattedrale nel deserto” troppo lontana da tutto a chi punta il dito contro la cardiochirurgia perché al costo di un solo intervento al cuore si possono pagare decine di vaccini o un pozzo d’acqua. Poi ci sono i “benaltristi”: quelli che qualsiasi cosa tu dica, proponga o faccia, obbiettano sempre che il problema è (appunto) “ben altro” ma per quest’ultimi non esiste risposta e neppure la cura: il “benaltrismo” è malattia grave. Un aneddoto divertente: prima volta a Shisong, arrivo dopo i “soliti” due giorni di viaggio (e solo chi c’è stato può capire cosa voglio dire), sera inoltrata, buio pesto. In sei o sette avevamo la necessità di un piccolo ma rapido spostamento dall’ospedale al convento dei Frati Cappuccini, poche centinaia di metri, Padre Angelo apre gli sportelli di un carrozzone station-wagon, marca, modello ed età indeterminabili, senza la targa e tenuto insieme da un’ amalgama di vernice, terra rossa e ruggine. Perplesso inizio un conteggio digitale dei presenti, più il Frate ed azzardo un “beh io comincio ad avviarmi a piedi”. Di rimando, Padre Angelo “a dottò….qui siamo in Africa!” Ricordo che in quel bagagliaio non c’erano le cinture, ma si stava abbastanza comodi. Credo che il più fedele gesto d’amore nei confronti del proprio mestiere sia quello di insegnarlo, tramandarlo ad uno più giovane dandogli la propria chiave interpretativa. Questo, per la Medicina ma soprattutto per l’artigianato Chirurgico, genera una “paternità Ippocratica” difficile da spiegare e difficile da insegnare. Così difficile che la maggior parte dei Chirurghi della mia generazione vanno fieri di aver saputo “rubare con gli occhi” mentre pochissimi, purtroppo, possono ricordare di avere avuto un Maestro. Va da sé che, coincidenza o vendetta che sia, a pochi viene la voglia di quella “adozione” a cui accennavo poco sopra. Personalmente metto a disposizione il mio piccolo bagaglio di esperienze medico-chirurgiche con lo stesso spirito e la stessa confidenza con cui invito qualcuno a casa mia: si mette a tavola quello che c’è in dispensa. Nessuno s’è mai alzato digiuno, qualcuno è tornato. Spesso. Ricordo di aver operato un ragazzo, studente di ingegneria a Yaoundé, coetaneo del maggiore dei miei quattro figli. Emozione. Era stato addormentato per risolvere il problema con un cateterismo ma la procedura, come accade talvolta, era passata di mano alla chirurgia. Ricordo la sua espressione sorpresa più che spaventata nel risvegliarsi “tagliato”. Ricordo gli occhi dei genitori, preoccupati e allo stesso tempo dignitosi in attesa di una notizia, de “La” notizia, l’unica che si è disposti ad accettare in quel momento. Ricordo l’intervento, mi aiutava un giovane e bravo Collega camerunense, anche lui quasi coetaneo di mio figlio. Emozione. Ricordo di avergli dato alcune dritte da “nonno” del mestiere e di avergli corretto alcune impostazioni che a mio avviso potevano essere migliorate. L’intervento riuscì. Mi piace pensare che fra qualche anno questi due giovanotti s’ incontreranno per costruire un pezzettino di storia dell’Africa. Mi piace pensare di aver dato un mio piccolo contributo in misura di quanto sapevo e potevo fare. Ecco, per me Shisong è tutto questo: è un “luogo dello Spirito”, luogo della Volontà di Dio. Dopo l’inevitabile, annunciato crollo di tutte le impalcature della Babele moderna in cui si confondono le lingue di coloro che vivono nell’ arroganza del sapere, del potere e dell’avere, Shisong è la Pentecoste, è il luogo della discesa di un nuovo Spirito che unisce in una sola volontà di bene laici e credenti, Cristiani, Musulmani e Animisti, genti di lingue e culture diversissime accomunate in un circolo virtuoso di sinergismo. Shisong è palingenesi spirituale, umana e professionale. Laggiù, sull’Equatore. Vicino. Giuseppe Gramegna “Tre chirurghi sono meglio di uno”. Il Dott. Alessandro Giamberti (membro del gruppo direttivo di Orizzonti Sportivi), il Dott. Charles Mvondo ed il Dott. Giuseppe Gramegna in una recente foto dell’equipe cardiochirurgica scattata nel Cardiac Centre di Shisong in Camerun.

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